La ripetizione dovrà essere uno strumento espressivo e non di maniera, usato con molta parsimonia, e l’esito di ciascun periodo non potrà essere banale. La ricerca non del bel suono tout court, ma di una efficace sequenza di suoni, forza, anzi obbliga la scelta di ciascuna parola nel poetare: dall’Ungaretti del “M’illumino d’immenso“ o de “le allodole assetate“, o il Montale di “Forse un mattino andando in un’aria di vetro“ o de “l’aria spasimante“, la creazione del testo, il riempire il vuoto della pagina bianca scegliendo segni ognuno dei quali esclude migliaia di altri segni, in un incedere che ad ogni passo indica una direzione prima sconosciuta, ci dà il senso di un grande, profondo rapporto fra l’autore e la collettività.

In più la musica, nel superamento della parola, oltre la dimensione dello sviluppo orizzontale di una sola voce, ha la molteplicità dei suoni simultanei, le tante voci in movimento, in grado di tracciare un percorso che apre continuamente scenari e ambienti nuovi e sorprendenti.

Essenziale, in una composizione, è  che  sempre  sia  dato  il  senso dell’Imprevedibile.
Questa vera e propria sostanza del linguaggio è la cifra dell’arte.
È un valore essenziale che rivela la presenza della creatività.
E che rimane inalterato nell’opera, percepibile anche dopo molti ascolti o letture, come la prima volta. E così l’opera ci sembrerà sempre nuova.
È qualcosa che ci nega la consolazione e che magari ci può mettere in crisi, ma  ci costringe alla ricerca della bellezza umana.

Lorenzo Porta del Lungo.